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Con estetizzazione della violenza, in campo artistico o televisivo e cinematografico, si intende una “messa in scena ” della violenza prolungata e rilevante. Secondo l'esperta di cinema Margaret Bruder ( Università dell' Indiana ) i film che seguono questo «registro stilistico eccessivo» sono ricchi di «immagini, giochi visivi, e segni» che fanno riferimento a un intero apparato di convenzioni di genere, simboli culturali, e concetti chiaramente riconoscibili dagli spettatori.
Potenza della rappresentazione
Estetizzazione della violenza nelle arti
Il mondo dell' arte in senso lato e, in particolare, le arti visive e la letteratura hanno estetizzato la violenza al punto da renderla una forma d' arte autonoma. Nel 1991, Joel Black, professore di letteratura dell' Università della Georgia, ha affermato che: « Se, tra tutte le azioni umane possibili, ce n' è una che evoca l' esperienza estetica del sublime, di certo si tratta dell' omicidio ». Black notò che « Se l' omicidio può essere una forma d' arte, allora l'omicida è una sorta di artista — o un anti- artista — la cui arte si manifesta quale “performance” e la cui specificità non consiste nel “creare”, ma nel “distruggere”». L' idea dell' omicidio quale manifestazione di elementi estetici è di vecchia data, e risale al 1890, quando Thomas De Quincey scrisse: «Qualunque cosa può essere considerata da due punti di vista. L' omicidio, per esempio, potrebbero essere valutato sul piano morale […], tuttavia – lo confesso – questo è il lato più debole; viceversa potrebbe essere valutato da un punto di vista estetico, in relazione cioè a ciò che i tedeschi chiamano il “buon gusto ”».
Estetizzazione della violenza nella cultura di massa
Anche la cultura di massa – ovvero giornali, televisione, riviste, reportage – ha fortemente contribuito a estetizzare la violenza, grazie, per esempio, ai resoconti sensazionalistici di molti crimini o addirittura di certe azioni di guerra. Il libro di Maria Tatar, Lustmord: Sexual Murder in Weimar Germany, analizza una serie di omicidi avvenuti nella Germania pre-hitleriana dal punto di vista della loro rappresentazione artistica, investigando le ragioni che hanno portato a quella estetizzazione della violenza «che trasforma un corpo femminile mutilato in un oggetto che suscita fascino».. Secondo il giornalista Patrice Petro, il libro della Tatar è un esempio di studio «sulle tendenze contemporanee e le correnti d'avanguardia dell' arte tedesca, e mira a mettere in evidenza la relazione esistente tra genere sessuale, crimini, violenza e rappresentazione».